31 gennaio 2011

Egitto/ La forza della piazza e lo spettro di un nuovo regime

Ogni minuto, una nuova notizia. Spesso si tratta di indiscrezioni, in altri casi di proclami ufficiali. Poche le certezze: l’Egitto resta in preda al caos con fiumi di manifestanti che invadono le strade incuranti del coprifuoco, mentre il presidente Mubarak - che ha ritoccato il governo e ha nominato un vicepresidente, il fedele Omar Suleiman - non sembra intenzionato a dimettersi. L’opposizione - che ha trovato un leader nell’ex direttore dell’Agenzia atomica internazionale, Mohamed ElBaradei - spiega che non si fermerà fino alla destituzione del “tiranno”. Il Movimento 6 aprile, annuncia la tv satellitare Al Jazeera, ha indetto per domani una manifestazione imponente, e conta di portare in piazza al Cairo oltre un milione di persone. Obiettivo? Uno solo: “Costringere il presidente alle dimissioni”.

L’Egitto vive in queste ore il dramma dei morti (oltre 100) e dei feriti, dei siti archeologici danneggiati, degli stranieri in fuga - i paesi occidentali stanno rimpatriando i propri connazionali - e di un futuro quanto mai incerto. Tutti, nel paese delle Piramidi, guardano all’esercito: ElBaradei e i Fratelli Musulmani, principale partito d’opposizione islamista messo al bando da Mubarak, chiedono ai soldati di schierarsi dalla parte della piazza, per mettere fine al regno del “faraone” e portare il paese a elezioni democratiche; il presidente, invece, chiede all’esercito di servire lo Stato riportando ordine e disciplina nelle strade. Anche in questo caso, difficile fare previsioni: la “soluzione” della crisi, però, passa sicuramente dalle scelte che i militari compiranno nelle prossime ore.

Ma se giornalisti e analisti guardano con sgomento al fronte egiziano, le cancellerie occidentali non sono da meno. Gli Stati Uniti, che per anni hanno finanziato e sostenuto un alleato chiave come Mubarak, si trovano oggi a dover decidere se “scaricare” il presidente o la piazza: per il momento Obama auspica un passaggio di poteri (niente più Mubarak, dunque) indolore e pacifico. Sulla stessa linea si colloca l’Unione europea, mentre Israele appare più deciso. Secondo il quotidiano “Haaretz”, il governo Netanyahu avrebbe chiesto all’Occidente di salvaguardare lo status quo per mantenere gli equilibri nella polveriera mediorientale: “La pace tra Israele ed Egitto è durata per più di trent’anni - ha spiegato il premier israeliano ai suoi ministri - e il nostro obiettivo è che duri ancora”.

La posizione di Israele è comprensibile. Il rischio insito nella caduta di Mubarak è la salita al potere dei Fratelli Musulmani, vicini ad Hamas e - osservano molti analisti - al terrorismo internazionale: uno spettro messo in luce anche da Giovanni Sartori sul “Corriere della Sera” di oggi. Il rischio, spiega il politologo, è di assistere a una replica della Rivoluzione islamica iraniana, quando la destituzione dello Scià portò al potere un nuovo dittatore, l’Ayatollah Khomeini: “Mubarak è stato un leale alleato dell’Occidente, ha firmato la pace con Israele, non è stato un dittatore sanguinario e ha bloccato i Fratelli musulmani (che si presentano come un islam moderato che però appoggia Hamas in Palestina). Spero che Obama sappia come è andata in Iran e che non ripeta gli errori di allora".

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