09 settembre 2011

L'11 settembre mi ha insegnato a leggere i giornali

Quando Canale 5 ha lanciato un’edizione straordinaria del telegiornale, trasmettendo le immagini di una delle torri in fiamme, stavo traducendo una versione di Esopo che non avrei più finito. All’inizio, ricordo bene, provai solo stupore, perché all’alba di quell’assurdo pomeriggio di fine estate era difficile pensare al terrorismo. Bin Laden? Al-Qaeda? Non li avevo mai sentiti nominare. Più probabile, insomma, il tragico errore umano di un pilota alla guida di un Piper; oppure, che so, un’esplosione dovuta a un guasto al sistema elettrico. Poi è arrivato il secondo aereo, le torri gemelle - su cui ero stato pochi anni prima, in una bella mattina d’agosto - si sono sbriciolate come polvere. E in quel momento è cambiato davvero tutto.

Dal 12 settembre 2001 ho iniziato a leggere i giornali da cima a fondo, e non ho mai smesso di farlo. Prima mi soffermavo principalmente su sport e spettacoli: all’epoca avrei voluto scrivere di musica, così ogni giorno scorrevo le recensioni di dischi e concerti pubblicate sul Corriere della Sera. L’11 settembre, però, ho capito che il mondo era più grande e complesso di quel che immaginavo, e che il giornalismo era un ottimo strumento per fare un po’ di ordine nel caos. O per tirare una sberla in faccia ai lettori, come fece di lì a poco Oriana Fallaci. Quel giorno, nel mio piccolo, ho capito che mi sarebbe piaciuto scrivere per raccontare il mondo intorno a noi, ed è quello che ho cercato di fare.

Un mondo che è cambiato radicalmente. Ci ho riflettuto a fondo qualche mese fa, in occasione di un progetto intitolato “The Age of Extremes” messo in piedi con tre amici: abbiamo chiesto a una serie di artisti contemporanei, scrittori e giornalisti quale fosse l’evento più significativo del decennio appena trascorso. E la maggior parte di loro, neanche a dirlo, ha scelto l’11 settembre 2001.

Nel catalogo di presentazione del progetto ho scritto: “Prima del 2001 sapevamo molto poco dell’Islam: ora parliamo quotidianamente di Corano, di sciiti e sunniti, moderati e estremisti. Prima dell’11 settembre, inoltre, lo scontro di civiltà era solo un libro di Samuel Huntington: oggi è un tema che divide e fa discutere, nei bar e nelle aule universitarie. Ancora: negli ultimi dieci anni incomprensioni e paure sono cresciute ovunque, e il solo fatto di prendere un aereo non è più così immediato. Non dimentichiamo, infine, che anche le guerre in Afghanistan e Iraq - contro cui si è sollevata parte del mondo intellettuale - nascono, più o meno direttamente, quella mattina di settembre”. La verità, concludevo, è che “l’ombra lunga delle Twin Towers segnerà le nostre vite ancora a lungo”.

Nel novembre 2006 sono tornato a New York. Ho visitato Ground Zero, ho osservato i disegni dei bambini esposti sui muri che circondavano il perimetro delle Torri. Poi, all’ora del tramonto, con la mia ragazza sono salito in cima all’Empire State Building: la vista era magnifica, l’orizzonte sempre più scuro, le luci dei grattacieli si accendevano una dopo l’altra. Eppure non ero tranquillo. Possibile che un altro aereo di linea andasse a infilarsi nell’Empire, cinque anni dopo l’11 settembre? Possibile, ma molto - molto - improbabile. Eppure, dopo aver visto per ore le immagini delle Twin Towers in fiamme, non ero tranquillo. E questa, se vogliamo, resta una piccola vittoria del terrorismo.

Piaccia o no, l’11 settembre 2001 ha segnato ogni singolo giorno degli ultimi dieci anni. Quando siamo saliti sull’Empire State Building, quando abbiamo preso la metropolitana, quando abbiamo programmato un viaggio in aereo il fantasma di quella giornata era in mezzo a noi. Non sempre l’abbiamo visto, eppure - inconsciamente - sapevamo che era lì. E così sarà per molti altri anni.