12 novembre 2014

Il tennis (e la vita) secondo Warren Favella

1980, Londra. Warren Favella è un bimbo di undici anni. Vive da solo con la mamma (inglese), forse c'è anche un padre (italiano) che in ogni caso non ha mai conosciuto. Ha tanti problemi, Warren, e a sentire la maestra forse soffre di ADHD (la sindrome da deficit di attenzione e iperattività). Di certo a scuola fa fatica, i compagni lo prendono in giro, e lui preferisce nascondersi in un mondo fatto di anagrammi e di libri sull'amata Italia.

Un giorno la maestra ha un'idea: per sbloccarsi un po', per farsi nuovi amici, Warren potrebbe partecipare alle selezioni dei raccattapalle di Wimbledon. Il ragazzino accetta, più che altro per far contenta la madre, senza sapere che di lì a poco la sua vita cambierà completamente: il 5 luglio 1980 si ritrova catapultato sul campo centrale, dove si gioca una delle più belle partite di tutti i tempi. L'orso Borg contro il genio McEnroe.


Questa, a grandi linee, la storia raccontata da Angelo Carotenuto nel romanzo La grammatica del bianco (con cui Rizzoli apre una bellissima serie di libri tra sport e letteratura). Una storia semplice, a tratti commovente, che ci fa rivivere colpo per colpo una delle partite del secolo attraverso gli occhi di un bambino speciale.

Dentro ci sono grandi personaggi (Warren, l'amico Cicca, Borg e McEnroe) e ciascuno a modo suo aiuterà il protagonista a crescere. Il merito più grande dell'autore, in ogni caso, è averci ricordato perché il tennis non è solo un semplice sport e perché lo amiamo così tanto:
Su questo prato ho capito che l'ordine non è solo metodo. La nuova misura delle mie cose respira pure nell'estro che regge i gesti di McEnroe, nella consapevolezza che esiste un tempo in cui devi darti il coraggio di prendere un'iniziativa, scompaginare lo schema, giocare una volée. Benedetto sia il tennis e le sue lezioni, benedetta la vita che riproduce, la quotidiana battaglia che facciamo, prim'ancora che gli altri con noi stessi, dentro le nostre teste e i nostri stessi pensieri.
La finale di Wimbledon del 1980 tra Borg e McEnroe è ricordata da tutti per l'incredibile tie-break del quarto set, durato venti minuti e vinto 18-16 dall'americano (che salva cinque match point). Venti minuti così folli da cancellare nella memoria dei più il risultato finale: quella partita, al quinto set, l'ha vinta l'orso.