Sabato 22 settembre: l’Iran celebra l’anniversario della guerra contro l’Iraq (1980-1988) con l’annuale parata militare. Come tutti gli anni, il presidente Mahmud Ahmadinejad arringa la folla. E mette subito in chiaro le cose: “Chi crede che usando simili strumenti, come guerra psicologica e sanzioni economiche, possa fermare il progresso della nazione iraniana compie un errore”. L’Iran non si ferma, e non saranno certo le attuali sanzioni a farlo. Sulla strada sfilano soldati e carri armati, seguiti dal nuovo missile Ghadr, versione aggiornata dello Shahab-3: la gittata è 1800 km , manna dal cielo contro Israele. Non a caso sfilano anche dei manifesti: “Abbasso Israele”, “Abbasso gli Stati Uniti”. Ahmadinejad gonfia il petto d’orgoglio, e quando parla sembra Bin Laden. Prima dà consigli agli americani: “Traete le lezioni dai vostri errori del passato. Non ripetete i vostri errori”. L’unica soluzione, dice il presidente, è “ritirare le truppe dalla regione, specialmente dall’Iraq”. Poi discolpa l’Iran dalle accuse di fomentare il terrorismo iracheno: “Accusare gli altri non risolverà alcun problema”. Orgoglio bellico e minacce al mondo. Ahmadinejad guarda al passato e ricorda come “l’odierna esibizione di mezzi militari dimostra che i nemici hanno già fallito più volte”, con un diretto riferimento all’inutilità delle sanzioni sinora applicate. “Coloro che ci volevano privare anche del filo spinato oggi dovrebbero venire qui e vedere questi mezzi”. Ci fidiamo sulla parola.
L’ironia di Ahmadinejad è ancora più tagliente se pensiamo che proprio domani prenderà un aereo diretto a New York, dove parteciperà all’assemblea delle Nazioni Unite. In America infuria il dibattito sui suoi spostamenti. La prima questione è quella della Columbia University, dove dovrebbe tenere una conferenza: mentre alcune organizzazioni ebraiche hanno chiesto di ritirare l’invito all’“Hitler iraniano”, l’Università ha confermato la sua presenza. E se il sindaco Bloomberg ha difeso la libertà accademica – seppur affermando che non andrebbe mai ad ascoltarlo –, il preside della Columbia Lee Bollinger spiega soddisfatto che questa volta Ahmadinejad ha accettato di “rispondere a domande su Israele e sull’Olocausto”. Ne vedremo delle belle. Favorevole allo “speech” del presidente iraniano è anche George W. Bush: “L’America è un paese dove la gente può venire a dire la sua”. Il secondo “fronte caldo” del soggiorno americano di Ahmadinejad è Ground Zero. Il leader iraniano avrebbe voluto portare omaggio alle vittime dell’Undici Settembre, ma il rifiuto è questa volta unanime: tanto la Clinton quanto Giuliani hanno affermato senza mezzi termini che sarebbe “un oltraggio alle vittime”. Le sorprese, però, sono sempre dietro l’angolo: è di questa mattina un’agenzia Dpa secondo la quale Ahmadinejad “incontrerà le famiglie delle vittime dell’Undici Settembre”.
Vacanza americana e visite guidate a parte, l’Europa dovrebbe prendere una posizione chiara. Ogni giorno che passa, si sa, è un giorno in meno verso il traguardo atomico. Ahmadinejad ha detto apertamente, agli iraniani e al mondo, che le sanzioni (o perlomeno quelle attuali) non lo fermeranno mai. Ma l’Europa continua a dibattere, restia ad incrementare la durezza della misure sin qui adottate come vorrebbero gli Stati Uniti. Mentre l’Italia gioca tutto sul dialogo e la diplomazia, è la Francia ad esibire la posizione più vicina a Bush. Il Ministro degli Esteri Kouchner ha recentemente consigliato (con lodevole realismo) di “prepararsi al peggio”, cioè alla guerra: ha poi dovuto ritrattare, parlando di “malinteso”, ma il messaggio è chiaro. Intervistato dal “Jerusalem Post”, Kouchner ha dichiarato che “l’Iran è un pericolo reale per Israele”, e il nostro compito è “reagire e difendere le nostre posizioni”: per dirla ancora più chiaramente, “dobbiamo difendere la democrazia”. Riguardo al dialogo, il Ministro degli Esteri francese ha ricordato come sia debole senza un robusto supporto di sanzioni: quelle stesse sanzioni che spera di ottenere al più presto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Consiglio si riunirà a breve, e la prima battaglia da vincere è proprio tra quelle mura: portare tutti gli “alleati” ad una comune posizione di fermezza. E D’Alema, starà con Kouchner?
L’ironia di Ahmadinejad è ancora più tagliente se pensiamo che proprio domani prenderà un aereo diretto a New York, dove parteciperà all’assemblea delle Nazioni Unite. In America infuria il dibattito sui suoi spostamenti. La prima questione è quella della Columbia University, dove dovrebbe tenere una conferenza: mentre alcune organizzazioni ebraiche hanno chiesto di ritirare l’invito all’“Hitler iraniano”, l’Università ha confermato la sua presenza. E se il sindaco Bloomberg ha difeso la libertà accademica – seppur affermando che non andrebbe mai ad ascoltarlo –, il preside della Columbia Lee Bollinger spiega soddisfatto che questa volta Ahmadinejad ha accettato di “rispondere a domande su Israele e sull’Olocausto”. Ne vedremo delle belle. Favorevole allo “speech” del presidente iraniano è anche George W. Bush: “L’America è un paese dove la gente può venire a dire la sua”. Il secondo “fronte caldo” del soggiorno americano di Ahmadinejad è Ground Zero. Il leader iraniano avrebbe voluto portare omaggio alle vittime dell’Undici Settembre, ma il rifiuto è questa volta unanime: tanto la Clinton quanto Giuliani hanno affermato senza mezzi termini che sarebbe “un oltraggio alle vittime”. Le sorprese, però, sono sempre dietro l’angolo: è di questa mattina un’agenzia Dpa secondo la quale Ahmadinejad “incontrerà le famiglie delle vittime dell’Undici Settembre”.
Vacanza americana e visite guidate a parte, l’Europa dovrebbe prendere una posizione chiara. Ogni giorno che passa, si sa, è un giorno in meno verso il traguardo atomico. Ahmadinejad ha detto apertamente, agli iraniani e al mondo, che le sanzioni (o perlomeno quelle attuali) non lo fermeranno mai. Ma l’Europa continua a dibattere, restia ad incrementare la durezza della misure sin qui adottate come vorrebbero gli Stati Uniti. Mentre l’Italia gioca tutto sul dialogo e la diplomazia, è la Francia ad esibire la posizione più vicina a Bush. Il Ministro degli Esteri Kouchner ha recentemente consigliato (con lodevole realismo) di “prepararsi al peggio”, cioè alla guerra: ha poi dovuto ritrattare, parlando di “malinteso”, ma il messaggio è chiaro. Intervistato dal “Jerusalem Post”, Kouchner ha dichiarato che “l’Iran è un pericolo reale per Israele”, e il nostro compito è “reagire e difendere le nostre posizioni”: per dirla ancora più chiaramente, “dobbiamo difendere la democrazia”. Riguardo al dialogo, il Ministro degli Esteri francese ha ricordato come sia debole senza un robusto supporto di sanzioni: quelle stesse sanzioni che spera di ottenere al più presto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Consiglio si riunirà a breve, e la prima battaglia da vincere è proprio tra quelle mura: portare tutti gli “alleati” ad una comune posizione di fermezza. E D’Alema, starà con Kouchner?