25 settembre 2007

Ahmadinejad alla Columbia risponde alle domande con altre domande

Più che una conferenza, un caso mondiale. Da quando la Columbia University di New York ha annunciato di aver invitato il Presidente iraniano Ahmadinejad per uno “speech” di fronte a 600 studenti, nell’ambito del “Word Leaders Forum”, si è scatenato il finimondo. Da un lato i difensori della libertà accademica: il Sindaco di New York Michael Bloomberg – il quale ha però aggiunto che non avrebbe preso parte all’incontro –, il Preside dell’Università Lee Bollinger e lo stesso Presidente George W. Bush, per il quale “l'America è un Paese dove la gente può venire a dire la sua: sarebbe meraviglioso se i leader dei Paesi che ne traggono vantaggio qui permettessero le stesse libertà ai loro cittadini”. Tra gli oppositori alla “lecture”, invece, alcune organizzazioni ebraiche – tra cui l'Anti-Defamation League e la Jewish Defense Organization –, il senatore repubblicano John McCain – per il quale “è inaudito far parlare nelle nostre università un uomo che è responsabile della morte di tantissimi soldati americani in Iraq” – e Christine Queen, leader democratica al Congresso di New York. A chiudere la disputa, a poche ore dall’incontro, è intervenuto il Rettore John Coatsworth, il quale alla Columbia avrebbe ospitato anche Hitler: “Se avesse voluto partecipare a un dibattito e a una discussione e essere sfidato dagli studenti della Columbia, sicuramente lo avremmo invitato”.

La risonanza mediatica dell’evento è cresciuta giorno dopo giorno, alimentata dal fuoco delle polemiche. Subito polverizzati i 600 biglietti per assistere all’incontro, rivenduti poi su internet. Ad accrescere l’attesa, anche la modalità interattiva della conferenza. Al contrario di quanto accadde lo scorso anno, quando l’incontro con Ahmadinejad saltò in seguito al suo rifiuto di rispondere alle domande, questa volta il leader dell’Iran ha infatti accettato di prestarsi ad un dibattito con il pubblico. Il Presidente della Columbia Bollinger ha poi assicurato che, introducendo l’evento, avrebbe chiesto conto all’ospite di sei punti caldi: la negazione dell’Olocausto, la volontà di distruggere Israele, il suo presunto supporto al terrorismo iracheno, l’escalation nucleare iraniana, la soppressione dei diritti civili e la cattura di giornalisti e studenti. Un punto, quest’ultimo, molto sentito: tra gli studenti incarcerati, infatti, c’è anche un ex studente della Columbia, Kian Tajbakhsh. Le premesse per un caldo incontro-scontro, insomma, c’erano tutte: le ore precedenti all’evento sono state segnate dalle proteste attorno all’Università, mentre i media statunitensi non parlavano d’altro. Imponenti, manco a dirlo, le misure di sicurezza: strade chiuse e accesso limitato all’Università. All’interno della sala, vietato alzarsi per tutta la durata dell’incontro.

E così, dopo aver risposto alle domande dei giornalisti alla National Press Club, Ahmadinejad si è finalmente trasferito alla Columbia. Sono le 19.50 italiane quando lo speech ha inizio: l’ospite d’onore sale sul palco di fronte ad una sala gremita, comincia la commedia del “bravo ragazzo”. Il primo a prendere la parola è il Presidente della Columbia, Bollinger. Dopo aver difeso la libertà di parola, parte all’attacco: “Signor Presidente, lei mostra tutti i segni di un piccolo e crudele dittatore. E allora le chiedo: perché le donne del Bahai Faith, gli omosessuali e molti altri nostri colleghi accademici sono vittima di persecuzione nel suo paese?”. Bollinger rispetta le promesse, e il duro attacco prosegue chiedendo conto della corsa al nucleare, dell’Olocausto – “l’evento meglio documentato della storia” –, della volontà di distruggere Israele e del sostegno ai terroristi. In chiusura, si risponde da solo: “Dubito che lei avrà il coraggio intellettuale di rispondere a tutte queste domande”. E così sarà.

Ahmadinejad comincia col recitare alcuni versi del Corano. Poi se la prende con Bollinger: “In Iran, la tradizione vuole che quando si invita una persona a parlare si rispettino gli studenti e i professori, permettendogli di farsi una loro idea”. Una lezione di democrazia dal Presidente dell’Iran, che continua sottolineando come il testo letto dal Presidente dell’Università fosse “un insulto agli spettatori qui presenti”. Il discorso di Ahmadinejad verte sulla religione e sulla scienza, utilizzata in occidente come strumento di oppressione e intimidazione. Passa poi all’Olocausto: parlando da accademico ad accademici, il Presidente si chiede perché non ci siano studi sufficienti tali da affrontare la questione da diversi punti di vista, per poi rievocare sessant’anni di sofferenze imposte ai Palestinesi in nome dello sterminio degli ebrei. I Palestinesi, ha ricordato Ahmadinejad, “non hanno avuto alcun ruolo nell’Olocausto. Perché la gente palestinese sta pagando il prezzo di un evento con cui non ha avuto nulla a che fare?”. In chiusura, il Presidente ha difeso il nucleare iraniano, un diritto per tutti gli altri paesi: “Noi amiamo la pace, noi amiamo tutte le nazioni”. E la parola passa al pubblico.

È il momento più atteso, ma si rivelerà una farsa. Ahmadinejad risponde alle domande con altre domande, o semplicemente non risponde. Vuole distruggere Israele? “Amiamo tutte le nazioni. Amiamo gli ebrei. Ci sono molti ebri in Iran, vivono in pace e sicurezza”. Non ha risposto alla domanda: ma quando il moderatore John H. Coatsworth gli suggerisce di dire semplicemente “sì o no”, il Presidente si aggrappa alla libertà di espressione e suggerisce di “lasciare liberi i palestinesi di scegliere liberamente quello che vogliono per il loro futuro”. Così sarà per tutti gli interventi. L’Iran fomenta il terrorismo? “Dobbiamo individuare le radici del terrorismo ed estirparle”. L’Olocausto è una farsa? Non lo dice apertamente, ma suggerisce di togliere ogni barriera allo studio del fenomeno. E che dire dei diritti delle donne? Questa volta non ha dubbi: “Le donne iraniane godono dei più alti livelli di libertà”. Quando gli si chiede degli omosessuali, prima ricorda che la pena di morte vige anche negli Stati Uniti e poi, messo alle strette, afferma addirittura che “in Iran non abbiamo omosessuali come nel vostro paese. Non li abbiamo”. Forse perché li ha già eliminati tutti? Le domande continuano. Perché voleva visitare Ground Zero? “Per portare i miei omaggi”. Sulla corsa al nucleare rigetta ogni accusa di voler pervenire alla bomba atomica, definendo “retrogradi” gli stati interessati a questo tipo di armamento. In chiusura, l’ultima domanda è sui rapporti con l’Occidente. Ahmadinejad non ha dubbi: se “il governo americano riconoscesse i diritti del popolo iraniano, rispettasse tutte le nazioni e allungasse una mano agli iraniani in segno di amicizia”, Stati Uniti e Iran potrebbero diventare i migliori amici.

Come dire, niente di nuovo sul fronte occidentale. Il Presidente ha confermato tutte le aspettative, mostrandosi come un Giano bifronte. Da un lato, prima di partire per l’America, ha usato toni forti e battaglieri, sfoggiando davanti al popolo missili di nuova fabbricazione. Dall’altro, giunto a New York, ha indossato il saio francescano, facendo passare il governo americano per il lupo cattivo che non vuole la pace. Un classico, del resto, è anche il suo rispondere a domande con domande, evitando le questioni cruciali: se è facile negare l’Olocausto da Teheran, impossibile è farlo all’Onu. Ma nulla gli vieta di assumere quel tono volutamente ambiguo, volutamente irritante. Ancora più irritante se pensiamo a tutti coloro che se la bevono, rinunciando a proporre sanzioni più dure contro il regime iraniano. Bollinger ci aveva visto giusto: al leader nazi-islamico manca il coraggio intellettuale di rispondere alle domande. Ma sono ancora in troppi a prendere per buone quelle “non risposte”.
L'Occidentale