11 aprile 2009

Quattro impegni da onorare

Questo nostro Pae­se è in debito con Francesco, Ludovi­ca, Andrea e gli al­tri bambini sepolti ieri, con tutti quei padri e ma­dri e nonni e fratelli, nella dura terra abruzzese. Deve onorare, mentre si asciu­ga le lacrime di una ceri­monia funebre che toglie­va il fiato con quei giocat­toli posati su piccole bare bianche, una serie di impe­gni. Il primo, su cui ha già speso la sua parola il pre­mier, è la massima traspa­renza. Si sa come andò, purtroppo, in Irpinia. I co­muni terremotati iniziali erano 36: diventarono 687. Le case distrutte o danneggiate poco più di 28 mila: diventarono 474.583. Col risultato che quei soldi distribuiti dall'alto, a pioggia, per motivi mas­sicciamente clientelari, fi­nirono troppo spesso ai furbi e non ai bisognosi. Alla larga. Meglio il model­lo voluto dai friulani: dele­ga dello Stato alla Regio­ne, della Regione ai Comu­ni, dei Comuni alle fami­glie. Un antipasto di fede­ralismo che funzionò al punto che Manzano votò una delibera per dire: gra­zie, ma non abbiamo avu­to danni, concentrate gli aiuti dandoli a chi ne ha bi­sogno.

Secondo impegno: mas­sima semplicità burocrati­ca. I terremotati dell'Um­bria, nel '98, si ritrovaro­no alle prese con testi da delirio: «Le graduatorie di cui al comma 1 sono for­mate con l'utilizzazione degli indicatori di cui al­l’art. 6, comma 4, lettera a), numeri 1, 2, 3...». Inac­cettabile, per chi già ha perso tutto. Il che non vuol dire che a chi ha per­so tutto, come è già suc­cesso, sia consentito (in deroga) tutto. Le regole devono essere poche e chiare, ma regole: non un mattone, non una trave, non un coppo possono es­sere più posati senza il ri­spetto di criteri anti-sismi­ci. Berlusconi è un uomo che ama le sfide temera­rie? Eccone una: fare della ricostruzione dell'Abruzzo (e l'idea degli incentivi a chi adegua la propria casa ai criteri di sicurezza va in questo senso) un modello di come una catastrofe possa essere ribaltata in una formidabile occasione di rilancio, di risanamento di un territorio a rischio, di ottimismo. Di rinasci­mento del patrimonio arti­stico e architettonico.

Terzo impegno, ascoltare le popolazioni colpite. Come ricorda Luciano Di Sopra, che calcolò i danni e stese il piano di ricostruzione dopo il sisma, anche nel ’76 l’idea iniziale era di costruire «new town» tra Udine e Pordenone. E ci fu chi propose di coprire con una cupola le macerie del duomo di Venzone per farne un «monumento del ricordo» come le macerie di Gibellina erano state coperte da una colata di cemento bianco. La gente disse no, raccolse le 7650 pietre, le numerò e rimise in piedi il «suo» duomo: com’era e dov’era. L’antica Gemona, spendendo un 20% in più che a farla nuova, fu consolidata in chiave anti-sismica e i vecchi ci si riconoscono. Nella nuova Gibellina, costruita a 18 km di distanza su un acquitrino dei cugini Salvo, i vecchi maledicono le stramberie di calcestruzzo di chi ideò case e piazze metafisiche senza immaginare un Bar sport.

Ultimo impegno: ricordare. Non tagliare del 30% i finanziamenti ai Vigili del fuoco appena si sarà posata la polvere del sisma, non accettare che le inchieste su certi crolli si trascinino all’infinito per finire in prescrizione, non rinviare mai più il varo di una legge che aiuti il rilancio dell’edilizia in un quadro di norme chiare, che non possono essere rigide o lassiste a seconda di come tira il vento. Questo è il rispetto per i morti di ieri: ricordarsene domani.

Gian Antonio Stella
(C) Corriere della Sera