16 settembre 2010

Afghanistan / Alle urne tra minacce e corruzione

Sabato 18 settembre gli afgani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo parlamento. Si tratta di una data importante nel processo democratico post-talebano, o almeno così dovrebbe essere. I segnali che giungono dal paese in questi giorni, però, non promettono niente di buono: proteste contro gli americani, minacce da parte dei terroristi e corruzione dilagante mettono infatti seriamente in pericolo le istituzioni di uno Stato sull’orlo del baratro. Conclusa l’esperienza irachena, l’amministrazione Obama si trova ora a fare i conti con uno scenario da incubo, fatto di scontri con le milizie talebane e di problemi strategici cruciali: in questi giorni, in particolare, a Washington si discute del ruolo da assegnare a Karzai nella lotta alla corruzione. Sulla situazione afgana è intervenuto infine David Petraeus, il quale ha detto chiaramente all’Abc che i progressi nel paese sono molto lenti: “Sembra di guardare l'erba che cresce, o un dipinto che si asciuga”.

Ieri, a tre giorni dalle elezioni, migliaia di afgani sono scesi in piazza a Kabul per manifestare contro gli Stati Uniti: la polizia ha sparato in aria per disperdere la folla e, secondo alcuni testimoni, una persona sarebbe rimasta uccisa. “Morte all’America”, “morte a Karzai” e “morte ai cristiani” gli slogan scanditi dalla folla: secondo Mohammad Usman, funzionario di polizia citato dalla Reuters, c’erano “più di 10.000 persone, e alcuni di loro sventolavano la bandiera dei talebani”. La tensione nel paese è molto alta: la manifestazione di ieri, del resto, è ideale continuazione di quelle dello scorso fine settimana, indirizzate contro il pastore americano Terry Jones (che aveva minacciato di bruciare il Corano in occasione dell’11 settembre). Soddisfatto è ovviamente il movimento talebano: Zabihullah Mujahid, portavoce dei ribelli, spiega che “la gente potrebbe aver issato bandiere talebane per mostrare la loro simpatia verso la nostra causa”.

In questo quadro si spiegano i timori dell’amministrazione Obama in vista delle elezioni di sabato, quando i cittadini saranno chiamati a eleggere 249 parlamentari. Tra minacce di attentati e risentimento diffuso, il rischio è che ai seggi si rechino in pochi e che le irregolarità dilaghino. Ieri la polizia afgana ha fermato due persone in possesso di 3.000 schede elettorali false nella provincia meridionale di Ghazni: secondo gli esperti della Commissione elettorale indipendente, in almeno quattro distretti sarà impossibile votare per questioni di sicurezza. E se Lisa Curtis dell’Heritage Foundation spiega che “gli americani sono più preoccupati per la propria situazione economica personale che per la guerra”, Obama - in vista delle elezioni di midterm - gioca parte del suo consenso anche sull’esito di un conflitto che ha deciso di combattere, non solo in Afghanistan ma anche sul confine pakistano dove aumentano i raid (e le vittime) degli aerei senza pilota statunitensi.

Ma in Afghanistan, questo è certo, le armi non bastano. Ecco perché, scrive il “New York Times”, gli analisti di Washington discutono in questi giorni se concedere a Karzai maggiori poteri nella lotta alla corruzione. Lunedì, nel corso di un meeting alla Casa Bianca, il presidente ha incontrato alcuni consiglieri, che hanno prospettato la necessità di bilanciare una seria lotta alla corruzione e il mantenimento di buoni rapporti con il governo afgano: uno degli esperti presenti alla riunione, citato dal quotidiano newyorchese, spiega che “la discussione sulla corruzione, alla fine, è davvero una discussione sulle nostre relazioni con Karzai”. Il meeting non ha portato ad alcuna decisione concreta, e Obama ha chiesto ai consiglieri di tornare presto con una strategia più sofisticata. “La corruzione che dobbiamo combattere - spiega un altro funzionario - è quella che indebolisce la lotta contro i talebani”: la sfida, insomma, è portare il non troppo affidabile Karzai (alleato di cui non si può fare a meno) e i funzionari di sicurezza dalla stessa parte della barricata. Quella che combatte i talebani.

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