23 gennaio 2012

Dieci anni senza Daniel Pearl

Sono passati dieci anni. Era il 23 gennaio 2002 quando Daniel Pearl, giornalista americano inviato del Wall Street Journal, venne rapito a Karachi (Pakistan) da un gruppo di talebani, con l'accusa di essere un agente della Cia. I terroristi inviarono una mail al governo degli Stati Uniti chiedendo la liberazione di diversi prigionieri: nove giorni dopo, il prigioniero venne decapitato. Il suo corpo venne ritrovato nel giro di qualche settimana, all'inizio di maggio, e ora riposa al Mount Sinai Memorial Park Cemetery di Los Angeles. Un cimitero ebraico, perché Pearl era ebreo (in un articolo scritto per il Los Angeles Times la madre racconta le origini della famiglia). Fino alla fine Daniel ha rivendicato la sua identità ebraica, come testimoniano le ultime parole prima di essere ucciso:
My name is Daniel Pearl. I am a Jewish American from Encino, California USA. I come from, uh, on my father's side the family is Zionist. My father's Jewish, my mother's Jewish, I'm Jewish. My family follows Judaism. We've made numerous family visits to Israel. Back in the town of Bnei Brak there is a street named after my great grandfather Chaim Pearl who is one of the founders of the town.
Poco dopo la sua scomparsa, i familiari di Daniel Pearl hanno istituito una fondazione a suo nome. Dalla storia del giornalista è stato tratto il film A Mighty Heart, con Angelina Jolie nei panni della moglie di Daniel; in libreria c'è poi una bella inchiesta del filosofo francese Bernard-Henri Lévy, che è andato in Pakistan alla ricerca degli assassini.